Enrico Rancati, da anni nostro affezionato cliente, ha scritto articoli per Fedeltà del Suono.
Recentemente ha provato e successivamente acquistato da noi la testina Atlas, top di gamma del catalogo Lyra, scrivendo per noi questa recensione che pubblichiamo.
E’ già da qualche tempo che l’ammiraglia della casa nippo-americana sublima le orecchie dei purtroppo pochi fortunati possessori ed agita il sonno dei tanti che, pur rivendicando il sacrosanto diritto di non potersela permettere, la pongono in cima ai propri desideri audiomusicali, per cui ci sembra davvero il caso di fare una discreta conoscenza della sua voce. Si dice talvolta che nel nome è scritto il destino degli umani, ma anche le cose possono forse trovare in esso, quando ben attribuito, qualcosa della loro sorte. Siamo dunque al cospetto di una testina appellata nientemeno che Atlante, leggendario Titano condannato da Zeus a sostenere la volta celeste per l’eternità, del quale, per non tradire l’essenza mitologica, è parimenti condannata ad esprimerne la forza cosmica. Con la sola differenza che non potrà farlo per l’eternità. Anticipando quindi una sintesi dei suoi tratti peculiari potremmo definire la performance tipo come un insieme di possanza aggraziata e di estetica verista.
Fin dal primo ascolto ci accorgiamo che la tradizionale asprezza degli stili intonsi cede qui il passo ad una inaspettata e precoce musicalità che ne consente una godibilissima e subitanea fruizione, senza dover soggiacere all’onere di un rodaggio lungo e tedioso. Certo il suono migliorerà significativamente fino al raggiungimento dell’acme prestazionale intorno alle 100 ore di lavoro, per poi mantenersi pressoché costante lungo tutta la vita utile della testina stessa, però ribadiamo che gli straordinari stilemi acustici saranno immediatamente ed interamente percepibili.
Orbene qual è il carattere dell’Atlas e cosa potrebbe farla preferire a prodotti di rango e prezzo equivalenti? In primis porremmo senza dubbio la naturalezza e raffinatezza dell’emissione acustica, priva di qualsiasi colorazione timbrica ed accentuazione tonale, realistica senza parossismo, anche nelle più ostiche riproduzioni musicali, quali sono per esempio i pieni orchestrali del tardo romanticismo. Il messaggio sonoro fluisce con una tale semplicità e linearità da farlo apparire più vero del vero, le vibrazioni che giungono all’orecchio sembrano non aver attraversato il lungo percorso elettroacustico, ma profuse direttamente dagli strumenti musicali: meccanici, elettronici o umani che siano. Il suono risulta irresistibilmente intrigante e fortemente emozionante, armonioso, privo di ogni accenno di artificiosità; attenzione però, non concede nulla all’effimera seduzione dell’eufonia, piuttosto affida la sua bellezza alla profonda sensazione di neutralità, quasi fosse una eco non distorta della realtà.
La correttezza timbrica è altresì conseguenza, ripetiamo, di un eccellente bilanciamento tonale, di una risposta assai lineare che non esalta e non deprime alcuna porzione dello spettro sonoro, con grande beneficio ovviamente anche per la scena, la quale emerge in tutta la sua immanenza e la sua veridicità tridimensionale. Che dire poi della trasparenza e del dettaglio se non che assurgono a vette assolute, forse solo sfiorate dalle più grandi concorrenti europee. Citiamo ancora le esecuzioni dei grandi ensemble, al fine di dimostrare la validità del precedente assunto, nelle cui immagini è relativamente semplice discernere i vari piani e dove ogni parte o sezione si staglia con chiarezza nel tutto strumentale e libera distintamente il proprio ordito musicale. Tuttavia sarebbe fuorviante scambiare il giusto nitore con il clangore, la brillantezza con l’esasperazione di determinate frequenze; i primi sono proprietà della buona riproduzione, quale appunto attiene indiscutibilmente alla nostra, mentre i secondi ne deteriorano il tessuto e possono alla lunga tormentare i sensi. Vorremmo perfino azzardare un parallelo semantico fra le arti visive e le prestazioni dell’Atlas: il senso di realismo che questa effonde potrebbe essere paragonata, a nostro avviso, non già ad un’immagine fotografica ad alta definizione, bensì alla spazialità e visione particolareggiata della pittura fiamminga, ove tutto è assolutamente raffigurato, ma l’infinitamente piccolo si fonde magistralmente con l’infinitamente grande senza contrasti stonanti.
Ultimo, ma non per importanza, fra i parametri considerati non può che essere la dinamica connessa alla velocità, intesa come reazione agli impulsi repentini. Lo scarto fra il pianissimo ed il fortissimo è abissale e ciascuno dei due estremi rimane perfettamente intellegibile, la risposta ai transienti, sia in attacco che in decadimento, è fulminea, anche se la facilità con cui essi vengono prodotti li sdrammatizza e toglie loro ogni segno di ruvidità. Sappiamo che le percussioni e gli ottoni costituiscono un test illuminante per qualunque valutazione in merito, per cui consigliamo senza timore generose sessioni di ascolto con le incisioni più corrette, al termine delle quali siamo quasi certi che anche il più critico degli auditori sancirà l’eccellenza assoluta del risultato.
Ci troviamo pertanto di fronte alla migliore testina in commercio? Non lo sappiamo, probabilmente no, ma non ci interessa poiché il suono che produce è talmente appagante da non suscitare aneliti di confronto o competizioni di sorta. Si rivela senza dubbio come una macchina da musica universale, senza particolari predilezioni per alcun tipo di sonorità, e con una capacità di tracciatura talmente elevata da renderla precisissima in ogni contesto. Se proprio volessimo delinearne un territorio di elezione potremmo affermare che, stante la finezza della grana, la coerenza timbrica e l’equilibrio tonale, sia impossibile prescindere da essa per l’ascolto della musica classica ed acustica in genere. Gli appassionati di hard rock, di heavy metal, di hardcore punk e di tanti altri generi che ricorrono alla strumentazione elettronica già in origine, potrebbero, e sottolineiamo potrebbero, trovare un’eventuale alternativa in un altro prodotto della stessa Lyra, ovvero nell’ultima nata Etna (pure qui il nome è tutto un programma). Però riteniamo inopportuno qualunque tipo di tassonomia merceologica, sicché ciascuno vorrà e dovrà rigorosamente scegliere in base alle proprie propensioni stilistiche e modelli culturali, in altre parole secondo i propri gusti.
Per esprimere al massimo tutte le sue potenzialità l’Atlas necessita, come l’aria per i polmoni, di un braccio di altissima fattura, di massa media, rigorosamente neutro nel timbro e precisissimo nella tracciatura, da 9 o 12 pollici indifferentemente. Chi desiderasse un’impronta maggiormente analitica e più potente potrebbe orientarsi verso un imperniato, magari con bilanciamento dinamico, coloro invece che amassero una rotondità lievemente più pronunciata potrebbero preferire il classico unipivot. Non sarà comunque il caso di crucciarsi troppo, in fondo si tratta di sfumature, forse non trascurabili, ma pur sempre fragilissime sfumature.
L’uscita dichiarata relativamente alta di 0,56 mV rende abbastanza agevole l’interfaccia tanto con il prephono quanto con lo step-up a trasformatori, per cui l’inserimento in qualsiasi catena non comporta eccessive criticità. La nostra esperienza suggerisce forse come ottimale l’abbinamento ad un stadio attivo MC con almeno 60 dB di guadagno, nel qual caso il range d’impedenza consigliato dalla Lyra è di 104 – 887 Ohm. Noi invero riteniamo che un carico compreso fra 100 e 300 Ohm possa soddisfare gran parte delle esigenze e solo con particolari configurazioni circuitali ne occorra uno superiore; ricordiamo a tal proposito che all’incremento del valore d’impedenza corrisponde generalmente una musicalità più tersa ed al contempo un appena percettibile inaridimento delle basse frequenze. Ancora una volta pensiamo sostanzialmente che sia questione di gusti. Per le altre caratteristiche funzionali rimandiamo al sito, tutto sommato esaustivo, della casa.
Con questo meraviglioso manufatto siamo convinti che nel firmamento analogico sia spuntata una nuova luminosissima stella, la cui luce offuscherà per forza di cose le sorelle minori della stessa famiglia e probabilmente tante concorrenti ancorché blasonate e costosissime, ma soprattutto crediamo che sia stato raggiunto un traguardo così autorevole nell’infinita, gloriosa storia del microsolco da non poter nemmeno suppore se, come e quando lo stesso potrà essere superato.